Lo spread italiano (3)

Andrea Picciuolo
7 min readNov 9, 2019

L’esame della comunicazione pubblica (sia sul versante della produzione che su quello dell’interpretazione dei “messaggi”) porta, nel campo degli interventi preparatori, a cartografare discorsi e comportamenti per estrarre i “segni” del tempo. Tra questi, vi sono, ovviamente, le “parole”. Mapparne gli usi, consente poi di analizzare i processi formali nei quali sono distribuite e di individuarne poi le funzioni (informative, argomentative, narrative, figurative) che svolgono in ciascun contesto esplorato. Si possono così determinare i domini semantici e i frame che strutturano le identità discorsive (di “persone” ed “eventi”) e orientano le interpretazioni del “lettore” (cognizioni, emozioni, percezioni).

Da questo punto di vista, da qualche tempo, uno degli ambiti di maggiore interesse è dato dal discorso economico e, nello specifico, dal lessico economico-finanziario, sia nei suoi usi tecnico-specialistici sia in quelli, per dir così, comuni, come è capitato di indicare in altre occasioni (qui e qui, per esempio).

In questo quadro, tra i fenomeni degni di nota, vi è la patemizzazione del lessico economico-finanziario. Si è mostrato altrove un caso in cui ciò avveniva in un corpus ristretto di articoli, e titoli, di giornale.

Si offre qui la terza nota di una serie faceta (la prima è qui, la seconda qui ) in cui si presentano i risultati di poche osservazioni, quasi casuali e glossate all’ingrosso, effettuate sia in ambiti tecnico-specialistici che ordinari. Una distinzione, questa, certamente approssimativa, data la tipologia dei marker testuali propri della lingua dell’economia (come sottolineato in letteratura) che rendono non così pacifica la suddivisione tra uso ordinario e uso tecnico-specialistico, ancor più in arene come quella di cui si dirà in queste poche righe.

Anche in questo caso, il bersaglio è la parola “spread”.

Il racconto mediatico dei temi di politica economica ha i suoi riti. Il sottogenere in vigore di questi tempi, da qualche anno in qua, è la corrispondenza. Si tratta delle lettere che viaggiano tra Roma e Bruxelles, di diverso tenore, di anno in anno, e variamente riportate dai media. La presenza collaterale dell’anglicismo (dal punto di vista categoriale) “spread” ha giocato anche in quel dominio un ruolo preminente. Lo scorso anno, in ottobre, il rito è parso generare il maggior volume di informazioni, e di conversazioni correlate, dopo il 5 ottobre, quando una lettera che proveniva da Bruxelles fu recapitata all’allora governo Conte I. Qualche giorno prima, “spread” aveva già popolato pagine, siti e account di media tradizionali e non, in occasione del “tonfo” in borsa che fece seguito, cronologicamente, alla pubblicazione della NADEF (della comunicazione di quella di quest’anno si è detto qui).

Quella data, il 28 settembre, viene presa qui come punto di partenza per indagare l’uso della parola “spread” nell’ambito di una particolare comunità epistemica: gli utenti verificati di Twitter. Il tipo di testi osservati non possono dunque essere marcati come “comuni”, né, al contempo, come squisitamente “tecnico-specialistici”. Si tratta di un tipo spurio. Il tipo di utente è altrettanto vario: vi sono account di opinion leader, quotidiani, politici, banche, associazioni di categoria. La data limite posta per costruire il corpus è il 12 dicembre, quando un incontro tra il presidente del Consiglio Conte e il presidente della Commissione europea Juncker sancì l’approvazione del bilancio italiano, il cui deficit stimato era nel frattempo passato dal 2,4 al 2,04%, manifestando in modo esemplare come le scelte politiche possano essere subordinate al loro potenziale comunicativo (in quel caso si sfruttò il potenziale espressivo della coppia minima, con il suo effetto paronomastico dovuto al patente parallelismo fonico).

L’archivio così ottenuto conta 6.143 tweet. Gli account che li hanno generati sono 289. Il lasso di tempo osservato è di 76 giorni. Più di 637.000 i like generati, e 225.000 i rt’s. Le risposte complessive ai tweet sono circa 104.000.

Gli utenti unici coinvolti nella conversazione sono, come si diceva, 289. Tra questi, vi è però un vero e proprio club degli amici dello spread, composto da 17 utenti che hanno pubblicato più di 100 tweet ciascuno in cui compare la parola” spread”. In totale, i tweet pubblicati dai membri del club sono 3.170, su 6.143 totali. L’utente più prolifico (un quotidiano) ne ha pubblicati 524, quasi il doppio del secondo in classifica. Il tipo di utente: due politici, cinque quotidiani, quattro agenzie, quattro TG, due talk.

Vari sono stati gli accadimenti politici nel frangente osservato e, come si sa, sui media la parola “spread” è spesso comparsa, negli anni, ad accompagnare narrativamente le curve delle vicende politico-economiche nazionali più disparate. Dato il carattere di divertimento di queste righe, tale architettura referenziale non verrà presa in carico, ci si limita solo a segnalarla.

Gli emoji maggiormente impiagati dipingono un quadro prettamente informativo. Non sono usati per commentare, men che meno per valutare i “fatti” riportati. In ordine di frequenza compaiono:

  • right arrow,➡
  • red circle,🔴
  • backhand index pointing down,👇
  • play button,▶
  • backhand index pointing right,👉

Uno sguardo agli hashtag più frequenti consente di iniziare a gettare uno sguardo sugli argomenti e sulle personalità maggiormente associate, nella conversazione, alla parola in oggetto. Sempre in ordine di frequenza compaiono (oltre ovviamente a spread):

  • #manovra
  • #Salvini
  • #tg
  • #borsa
  • #Tria
  • #piazzaaffari
  • #DiMaio
  • #ottobre
  • #Draghi

Uno sguardo distaccato alla lista delle parole (non grammaticali) più frequenti nel corpus consente già di individuare gli argomenti e le personalità più discusse quando negli enunciati compare la chiave “spread”. In più, la lista inizia a offrire i primi segnali non solo sul cosa, ma anche sul come, ovvero sull’enunciazione di quei temi e sulla descrizione di quegli attori e delle loro azioni. Elencando all’ingrosso i primi risultati ottenuti, vi si trovano: “punti”, “manovra”, “economia”, “governo”, “mercati”, “borsa”, “banche”, “calo”, “Italia”, “bund”, “Tria”, “mutui”, “borse”, “quota”, “base”, “Draghi”, “rialzo”, “Di Maio”, “apre”, “sopra”, “debito”, “politica”.

Pur restando nell’ambito di una lettura a distanza dell’ordito lessicale del corpus, un approccio semiolinguisticamente orientato all’osservazione della dimensione testuale del dato, già consente (anche solo al livello “povero” e a bassa gradazione tecnica a cui qui ci si attiene) di attingere uno stadio di rilevazione in grado di incrinare alcune illusorie impressioni di lettura. In questa prospettiva, se per esempio si volge lo sguardo ai collocati più frequenti della parola “spread”, il panorama informativo viene sì confermato sul piano del cosa è detto, ma manifesta al contempo un fenomeno enunciazionale (il come) interessante. “Punti”. “400”. “320”. “300”. “310”. “290”. “Calo”. “Sale”. “Quota”. “Sotto”. “Oltre”. “Rialzo”. “Salire”. “Mutui”. “Risale”. “Scende”. “Vola”. “Sfonda”. “Stabile”. “Governo”. “Aumenta”. “Cala”. “Spinge”. “Supera”. “Tocca”. “Mercati”. Tutte compaiono tra i primi cento collocati (non grammaticali). Nella porzione di testo che si va indagando, la solidarietà tra quegli elementi è forte. Dal punto di vista discorsivo, è come se fungessero da parasinonimi. Vi sono dei numeri e dei predicati che designano, in qualche modo, movimento. Ma a che dominio paiono paiono far riferimento quei parasinonimi? Si è nel campo della misura. È lo spread a venire misurato, certo; e a quel livello si resterebbe ancora saldi nella modalità informativa. Ma dal punto di vista narrativo è questo l’unico fenomeno che quel corpus manifesta?

Se ci si volge a osservare i cluster più frequenti si ritrovano, accanto a spread e con una rilevanza pari, alcuni degli attori che comparivano nella word-list. Accanto a “spread Btp-Bund”, “lo spread a” “lo spread è”, “lo spread sale”, “l’andamento del differenziale”, compaiono infatti “Di Maio”, “la manovra”, “della manovra”, “il governo”, “finanza e mercati”.

Ancora una volta, le certezze circa la consistenza meramente informativa dei “messaggi” osservati rischia di infrangersi davanti alle nuove evidenze acquisite grazie all’“analisi”: una dialettica (tra agonisti) si affianca, almeno, alla modalità informativa. Data una scorsa ad alcuni contesti di inserzione (che qui per brevità non si riportano), si può dire sbrigativamente, come qui si deve, che la misura dello spread più che essere il perno narrativo del “testo”, pare invece fungere da elemento ancillare. La misurazione dello spread fa da sfondo, “naturalistico”, alle azioni di altri. La misura dello spread “misura” azioni e cognizioni di quei personaggi che si citavano in precedenza (elencati dalla lista delle frequenze).

Nel lasso osservato, ottanta post al giorno consentono di rinnovare quotidianamente la domanda “che spread fa?”. La sua presenza incombe. E non si questiona. È un elemento naturale, o almeno un’evidenza. Si osservano le reazioni e ci si adegua (o ci si deve adeguare?) di conseguenza.

Se si abbandona il livello meramente lessicale, e ci si interroga anche soltanto sulla dimensione argomentativa ed enunciazionale del testo, non pare più essere informativa la modalità prevalente. Dal punto di vista modale, iniziano invece a far capolino, lo si è visto, degli elementi tipici di altre strutture argomentative, come per esempio la modalità anankastica (una dinamica vista in opera in altri racconti mediatici di temi sensibili, qui e qui.

A grandi linee, è questa la configurazione espressiva che orienterà poi le interpretazioni, situate, del lettore su quel tema specifico. Si è detto che i titoli dei quotidiani costituiscono un quotidiano a sé. Lo stesso va forse asserito del tipo di tweet che qui si sono osservati. Vista l’autorità di una tale comunità epistemica, è probabile che a quel tipo di configurazione espressiva si adegui anche qualche “lettore politico”. Se dal discorso giornalistico si passa al discorso politico, però, quel tipo di struttura (vista e descritta qui all’ingrosso) va a cadere in quella tipologia di “messaggi politici” marcata dalla mistica della necessità. Rispetto all’oggetto indicato, il “rischio” che corre chi si adegua a quel tipo di enunciazione è quello di essere percepito alla stregua di un weather man, abile solo a proferire quotidianamente con buona oratoria (quando è il caso) un ‘hello Italia’.

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Written by Andrea Picciuolo

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