Lo spread italiano (1)

Andrea Picciuolo
5 min readSep 27, 2019

L’esame della comunicazione pubblica (sia sul versante della produzione che su quello dell’interpretazione dei “messaggi”) porta, nel campo degli interventi preparatori, a cartografare discorsi e comportamenti per estrarre i “segni” del tempo. Tra questi, vi sono, ovviamente, le “parole”. Mapparne gli usi, consente poi di analizzare i processi formali nei quali sono distribuite e di individuarne le funzioni (informative, narrative, figurative) che svolgono in ciascun contesto esplorato. Si possono così determinare i domini semantici e i frame che strutturano le identità discorsive (di “persone” ed “eventi”) e orientano le interpretazioni del “lettore” (cognizioni, emozioni, percezioni).

Da questo punto di vista, da qualche tempo, uno degli ambiti di maggiore interesse è dato dal discorso economico e, nello specifico, dal lessico economico-finanziario, sia nei suoi usi tecnico-specialistici sia in quelli, per dir così, comuni, come è capitato di indicare in altre occasioni (qui, e qui, per esempio).

In questo quadro, tra i fenomeni degni di nota, vi è la patemizzazione del lessico economico-finanziario. Si è mostrato altrove, un caso in cui ciò avveniva in un corpus ristretto di articoli, e titoli, di giornale.

In questa e nelle note della serie che verranno, si darà conto di poche osservazioni, quasi casuali e glossate all’ingrosso, effettuate sia in ambiti tecnico-specialistici che ordinari.

Il bersaglio è il termine “spread”, che nella sua accezione tecnica vale ‘the difference between two rates or prices’, come indicato, anche, da una nota in merito dell’Accademia della Crusca, in cui viene tra l’altro ricordato che “la forma spread è presente già in DISC [ndr: Dizionario Sabatini Coletti] 1997 e GRADIT [ndr: curato da T. De Mauro] 2000, i quali la riconducono al 1991 come ‘scarto fra due tassi d’interesse’”.

Lo Zingarelli 2019 data l’accezione seguente, “nel sign. borsistico di ‘scarto’ [ndr: rispetto al tasso di interesse]”, al 1981.

Se si interroga la rete, per esempio con una rapida scorsa ai risultati restituiti da un noto motore di ricerca quando si usa la chiave “spread”, si nota che è proprio attorno a quella data che compaiono i primi usi specialistici del termine. Un esempio, tratto da un numero della rivista Il Mondo del 1978:

“Lo spread, cioè la commissione pagata in più al tasso interbancario di Londra (libor), è stato ridotto da 1 a 3/8 a 1 a 1/8.”

In una pubblicazione del 1980, Shoe Report, seppur ancora in ambito economico, compare un uso di spread che non è già propriamente specialistico:

“Si riconosce costantemente — spesso solo a parole — la centralità dell’economia reale e della manifattura, salvo lasciare le imprese sostanzialmente sole davanti al compito quotidiano di abbassare il loro spread: quello che separa le difficoltà dei mercati, le restrizioni del credito, la riduzione incompiuta del cuneo fiscale, da un lato, e la loro determinazione nel far quadrare comunque produzione e ricavi, occupazione e innovazione, apertura verso mercati più ampi e competizione non sempre equa da parte di Paesi che tendono a proteggersi più del necessario, dall’altro.”

L’immagine che segue mostra le occorrenze del termine “spread” restituite dal servizio Google Books:

La forma “spread” non è invece elevata a lemma di dizionario quando si tratta di opere sì specialistiche ma dal tenore divulgativo; per esempio, non c’è nel Dizionario di Economia (Utet).

Ed è proprio in questo ambito specialistico, ristretto al genere dell’informazione giornalistica, che si è condotta, come si diceva, una sbrigativa osservazione.

A questo fine, si è avviata la costruzione di quattro micro-corpora, non del tutto omogenei, di articoli pubblicati in questo primo scorcio di settembre da alcuni quotidiani finanziari in lingua italiana, in lingua francese, in lingua spagnola, e in lingua tedesca.

Scandagliati i corpora, il primo fatto degno di nota che emerge è puramente quantitativo, per quel che vale a questo livello di osservazione: nel corpus di articoli in lingua italiana, il volume delle occorrenze di “spread” rilevate sono molto più numerose che negli altri tre.

Nel corpus italiano, “spread” compare 665 volte. Il suo collocato più frequente è “BTP-BUND”. In 298 occasioni compare in delle catene in cui è accompagnato dall’elemento “lo”, in 66 da “dello”. Nel resto delle occorrenze, si manifesta in quanto nome nudo. È quest’ultima struttura formale ad aprire la strada, dal punto di vista interpretativo, pur in questo ambito discorsivo specialistico, a una sceneggiatura non specialistica. In quanto nome nudo, e cioè formalmente simile (in determinate circostanze) a un nome proprio, “spread” compare in sequenze come “spread aiuta le banche […]”. Accompagnato, come si è visto, da predicati che eccedono il campo circoscritto dei, per esempio, “cala” o “resta stabile” (su cui pure ci sarebbe da dire, se paradigmaticamente correlati, per esempio, ad “aumenta” o “diminuisce”), “spread” si dispone a divenire un vero attore installato sulla scena discorsiva e a cui si potranno potenzialmente attribuire, violando la “norma” del dominio tecnico, finanche desideri o percezioni.

Il corpus degli articoli in lingua francese restituisce soltanto 16 contesti in cui compare “spread”. È interessante notare che in molti contesti il riferimento è al caso italiano, come in: “La baisse d’environ 25 % du spread (l’écart entre le taux italien à 10 ans et le taux allemand de même échéance) depuis le début de la crise politique va permettre de dégager 4 milliards d’euros d’ici à la fin de l’année.”

Il corpus degli articoli in lingua tedesca conta 25 occorrenze di spread. Anche in questo caso vi sono molti riferimenti alla situazione italiana. Un esempio: “Italiens Banken profitieren von niedrigerem Spread […]”

Nel corpus in lingua spagnola le occorrenze di “spread” sono 13. Viene spesso chiosato con “diferencial”.

Negli ultimi tre casi non si segnalano usi non tecnici del termine.

Come si è visto, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, il caso italiano è peculiare, sia perché vi è lì spazio, anche se solo latente, per un uso non tecnico e figurativamente ricco del termine, anche in un corpus di articoli specialistici, sia perché, pur essendo un forestierismo, se vista da una prospettiva comparata, quella forma appare, rispetto ai pochi esempi esaminati e dal punto di vista dell’interpretazione, una forma vieppiù “italiana”, riferita com’è, spesso, alle vicende politiche ed economiche italiane.

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Written by Andrea Picciuolo

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