Il caso di Dolce&Gabbana (in Cina) visto dalle reti sociali: un micro-carotaggio

Andrea Picciuolo
9 min readDec 12, 2018

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  1. Introduzione

Si tratta di una breve introduzione quasi-tecnica che inquadra una nota prettamente divulgativa. Al lettore avvertito o, per contro, per nulla interessato a simili frivolezze si consiglia, con permesso, di passare direttamente al punto 2.

Il caso in oggetto è stato classificato, come accade oramai di sovente, nel genere narrativo “crisi”. Crisi è dunque diventato, di conseguenza, un termine-ombrello dall’estensione molto ampia: qui, per contro, ci si limita a osservare la “crisi” al microscopio, sotto la lente dell’analisi semio-linguistica delle identità coinvolte, in primo luogo la marca, e suoi attori, e il pubblico (manifestato dai suoi “portavoce”). Questa riduzione tecnica impone di valutare la crisi come una fissione, enunciata (dunque in ogni caso fattuale, “reale”, anche se non necessariamente “vera”), tra un soggetto e il suo oggetto di valore (dichiarato o auspicato). Fissione che potrà essere, ovviamente, momentanea o definitiva, a seconda dell’evolversi processuale del “fatto”.

Un simile quadro analitico richiede, come è facile immaginare, alcuni requisiti metodologici a corredo. In primo luogo, per quanto sembrerà scontato (ma non lo è), l’ascolto consapevole del pubblico. Poi, correlato, una visione relazionale dell’identità. L’identità, in tal senso, è l’effetto di relazioni e non il risultato, come spesso è dato osservare, di un delirio solipsistico, per quanto in vario modo sofisticato.

In questi appunti si darà una scorsa alla semiosfera italofona, con qualche sortita, di non scarsa rilevanza, in altre contee, in particolar modo nel dominio anglofono.

Del caso si è detto molto, tante le voci competenti che si sono espresse. Qui, come si è detto, si cerca di restare nel dominio strettamente tecnico dell’analisi semio-linguistica dell’identità di marca, intendendo con identità quella struttura formale dove si “incontrano”, realizzandosi, emittenti e destinatari. Lo si fa con qualche nota orientata, appunto, al dato linguistico, con appendici dedicate a inquadrare quei dati nel contesto più ampio delle interazioni che li hanno prodotti.

La solita avvertenza: si tratta di un carotaggio, non di un’analisi, con fini divulgativi e senza alcuna pretesa di esaustività.

2. Facebook

Cosa accade nella fan page (Facebook) della maison tra il 18 e il 24/11 è icasticamente rappresentato nell’immagine che segue. Molta la voglia di “discutere”: “commenti” è infatti la voce con l’aumento maggiore in termini relativi.

I due post con più engagement (con un valore 4 volte circa più alto di quello che immediatamente segue) datano 21 e 23 novembre. Più di 5.000 commenti l’uno e più di 4.000 l’altro (che producono rispettivamente più di 10.000 e più di 7.000 like): anche qui un volume 4/5 volte più grande del post che, questi due esclusi, genera più interazioni nel periodo in oggetto.

Il commento ai due post che genera più like (1.157) è: “ Dolce & Gabbana was born in Italy in 1985, and died in Shanghai in 2018.” Il primo commento in italiano che si incontra in questa lista, con 77 like, è: “ Quindi vi hanno hackerato 3 account contemporaneamente? Il vostro è razzismo, noi siano seri e severi su questi. Se non vi piace la Cina, allora potete anche andarvene. Tanto non sei l’unico marchio di lusso.” Segue, con 30 like, “ Io continuo ad amarvi e rispettare siete un orgoglio immenso per noi Italiani ….se i cinesi non conoscono l’ironia problema loro non nostro!!! “.

Veniamo agli effetti indiretti, di cui molti hanno detto, e osserviamo una piccola parte della distribuzione del lemma “ital*”. Italy conta 124 para-repliche (non poche, su 22.818 word types). La tela che da lì si dipana è molto lunga e interessante da analizzare. Per offrirne un micro-campione: “made” è il primo collocato, che rimanda, come si potrebbe immaginare, alla sequenza “made in italy”; osservando la distribuzione di quest’ultima, se si resta ai collocati “italiani”, si incontra, come primo termine, “danni”.

Sono 117 le occorrenze della forma “italian”. Se si osserva la sua distribuzione, si incontrano molte asserzioni e valutazioni di segno opposto in merito a oggetti, e agenti, “italiani”.

“Italiani” conta 59 occorrenze, “Italia” 37. “Che” è il primo collocato di “italiani” (“italiani che” la sequenza più frequente); “in” quello di “Italia” (“in Italia” la sequenza più frequente). Nell’uno e nell’altro caso si assiste a un conflitto di attribuzioni reciproche tra due “gruppi” di commentatori, abbastanza omogenei.

3. Instagram

Focalizziamo l’attenzione su una manciata di post (circa 500), pubblicati tra il 20 e il 25 novembre, che contengono l’ hashtag, divenuto mordace ex post, #DGLovesChina. Nell’immagine, i primi 10 hashtags che co-occorrono con la chiave di ricerca. Tra questi vi è anche #isupport_dg. Per quel che conta (si tratta di un banale carotaggio): è un fenomeno che non pare emergere nelle cronache, pur trovando un doppio anche in ciò che accade nella fan page della maison, su Facebook, seppur diversamente manifestato dal punto di vista discorsivo. #boycottdolcegabbana, per contro, conta 34 occorrenze, #boycottdolce 18, “boycott” 8, #boycottdg 6.

L’osservazione della distribuzione del lemma “ital*”, restituisce solo “italian” tra i primi 150 termini in ordine di frequenza, con 62 para-repliche. “Eat” e “food” sono i primi collocati. La modalità in cui il “blocco” occorre, quasi esclusivamente, è quella informativa: viene descritto il motivo del contendere.

Puntiamo al fuoco della questione: gli account della maison e di uno dei due fondatori. I due account, che hanno un comportamento discorsivo dispari, si allineano solo per un istante (un post, quello di scuse del 23) per poi divergere nuovamente. Questo è almeno ciò che restava al momento dell’osservazione. Vedremo ora come si allineano e come subito divergono, assieme al comportamento del “pubblico”.

Partiamo dall’ account D&G. L’ultimo post del 20, con video accluso, annuncia il -1 al grande evento. Il post genera più di 25.000 like. Diamo una scorsa a circa 1.000 commenti. “Red-heart” e “heart-suit” sono gli emoji che si osservano con maggiore frequenza. Ma la love story trova già qui il suo tormento: tra i primi 10 termini (rilevanza elevatissima dunque) troviamo “out”. Osservandone la distribuzione, emerge che è parte della sequenza “get out”. E cosa regge la sequenza “get out”? Regge perlopiù “of china”. Nei commenti continua a emergere, seppur sempre in modo timido, qualche “sostegno” a D&G (qui più in forma di messa in questione del contenuto razzista del video, che come partigianeria nel frame ‘Italia, o resto del mondo, vs Cina’).

Come si diceva, i due account al centro della vicenda, quello della maison e quello di uno dei fondatori, hanno comportamenti discorsivi distinti (sotto molti rispetti) e si allineano per un fugace momento in occasione del post di scuse. Torneranno poi subito dopo a divergere: uno dei fondatori, per esempio, sceglierà di postare dopo le scuse, nello stesso giorno, un video il cui protagonista è un gatto. Ma andiamo al messaggio di scuse.

Per quel che è dato osservare, quello della maison genera più di 107.000 like e più di 38.000 commenti (l’account conta quasi 20.000.000 di follower). Quello di uno dei fondatori, per contro, genera più di 16.000 commenti e 35.000 like, in un account che conta circa 1.600.000 follower. Nel bene e nel male, i dati confermano chi è il bersaglio.

Entriamo nel dettaglio dei commenti. Si è detto, circa 38.000 per il post della maison. Pare essere una parola grammaticale il termine in assoluto più frequente: you. Diamo una scorsa alla sua distribuzione. Tra i collocati di “you” le invettive ci sono, ma tutte al di fuori dei primi 50 termini. Tra i primi 50, invece, compaiono accept, respect e, certo, apologize. Fatti rilevanti, ma lo spazio stringato di questa nota non consente di descriverne in dettaglio la tessitura. Basti solo osservare che la sequenza che con più frequenza regge “apologize” è “too late to”. La micro-sequenza in cui “you” appare con maggiore frequenza è “you don’t […]”, che regge una lunga serie di interessanti predicazioni, sorta, perlopiù, di “consigli” o “ordini” che gli utenti danno ai due locutori che appaiono nel video. Per dirla in modo leggero: una parte degli utenti “sceglie” il frame “non mi abbasso al tuo livello”. Il cluster (con N=4) più frequente in assoluto è “standing up for china”, a cui segue “get out of china”.

E gli emoji? Paradossalmente (?) anche qui quello più frequente sembra essere “red-heart”, che compare addirittura (?) tra i primi 30 tokens in ordine di frequenza.

Andiamo ora al post di scuse (identico a quello della maison) di uno dei fondatori. Circa 16.000 commenti. Qui “you” è il secondo termine più frequente. Ancora “red-heart” l’emoji più usato. Anche qui nessuna invettiva tra i primi 50 collocati. Compare invece apologize. La sequenza in cui “you” appare con più frequenza è “you don’t need to”, che regge a sua volta proprio “apologize”. E qui il discorso si fa interessante, ma la matassa troppo spessa da dipanare nello spirito divulgativo di queste righe. Ci limitiamo a osservare che la sequenza si colloca in modo quasi netto in due distinti domini di referenza, il primo diciamo letterale, e il secondo figurativo, con accezione ironica. Secondo cluster è “if you want to […]”, la cui distribuzione mostra perlopiù lo scrutinio delle intenzioni del locutore: sincero oppure no?

I cluster (N=4): il più frequente in assoluto (!) è una sequenza di “red-heart”, a cui seguono “get out of china” e “too late to apologize”.

L’ultimo dato, in ottica comparata. Se si raffronta il corpus più piccolo (i commenti al post dei uno dei fondatori) a quello più grande (circa il doppio, quello dei commenti al post della maison), il termine con valore di keyness più alto (e che ne rappresenta in un certo qual modo la keyword) è un termine grammaticale, italiano, “non”. Molti sono i termini italiani in questa lista. Il cluster in cui “non” appare con maggiore frequenza è “non ha senso” (‘porgere le scuse senza ammettere l’errore’); ma è la distribuzione del termine nel suo complesso a essere degna di nota in quanto manifesta non solo l’attitudine valutativa degli utenti nella semiosfera italiana ma anche perché, all’interno di questa, consente di osservare quel sostegno alla maison, qui neppure così in soggezione, di cui si è già detto a più riprese nel corso di questi appunti.

4. Twitter

Uno sguardo ora a quanto accaduto su Twitter. Corpus da 4.500 tweet. Chiave di ricerca: Gabbana. Periodo: 21–26/11/18. Solo tweet “italiani”.

#cina (134) e #italia (131) gli hashtag più frequenti, dopo #dolcegabbana.

Face-with-tears(-of-joy) l’ emoji di gran lunga più frequente nel corpus; a seguire rolling-on-the-floor-laughing, middle-finger, e pile-of-poo.

“Fiasco” il primo termine (potenzialmente) valutativo, tra I primi 50 in ordine di frequenza.

Il primo tweet con più rt’s generati è ironico, e il target è la maison, ma il secondo è (parzialmente) a favore di D&G, confermando (nei limiti di questo carotaggio) un fenomeno che è emerso scandagliando Facebook e Instagram: il supporto a D&G sarà pur (molto?) minoritario ma è in Italia ben visibile, nel frame di una sorta di match Italia-Cina.

Per chiudere, diamo ora una sbirciata al dominio anglofono. Il corpus è appunto costituito da soli tweet in lingua inglese, circa 13.000, osservati dal 20 al 24 novembre.

Il paesaggio testuale è molto diverso da quello osservato nel carotaggio effettuato nella semiosfera italiana. La modalità enunciativa prevalente è quella informativa, mentre i tweet italiani mostravano (nella stretto ambito di pertinenza di questo micro-carotaggio) una prevalenza per modalità enunciative non-informative, con lo schieramento partigiano tra pro- e contro- D&G.

Nella semiosfera anglofona, il tweet che genera più rt’s, l’unico ad andare oltre i mille, consente di gettare uno sguardo al fuori scena, in un anfratto che nei resoconti mainstream, spentosi il fuoco delle breaking news, non è stato illuminato (almeno per ciò che riguarda le poche letture di chi scrive): la “gestione” della crisi da parte degli incaricati della maison. Il tweet, che qui, disaggregato, si offre sberciato, è “Dolce Gabbana press office team is on damage control overdrive chasing after the small guys”.

Il tweet con più like (l’unico oltre i tremila), invece, è squisitamente informativo: “Dolce&Gabbana accused of racism in “Chinese chopsticks advertisements [+ link].

Gli hashtag: i primi 15 in ordine di frequenza sono tutti “descrittivi”, e dunque “informativi”, tranne due, uno “assertivo” e un altro “valutativo”, #dolcegabbanaracist e #boycottdolcegabbana.

Emoji: qui i cuoricini, al contrario che negli altri ambienti osservati, vengono sommersi da “pile-of-poo”, il più frequente, a cui seguono “face-with-tears(-of-joy), e “thumbs-down”.

Word tokens: sono 281.832. Il cluster più frequente, nelle sue varianti, pertiene anch’esso alla modalità informativa : “Chinese online shopping sites ditch Dolce & Gabbana in ad backlash”. Stesso dicasi per quelli che seguono, i cui referenti sono lo ‘show cancellato’, l’’account hackerato’ e le ‘scuse’.

Uno spiraglio di valutazione si intravede sul limine dei primi 100 termini in ordine di frequenza, quando appare “shit”. Se si osserva la distribuzione del lemma, appare subito evidente che l’attributo ha due target-referenti: ‘china’, e uno dei fondatori della maison. Non ci si esprime qui sull’attitudine valutativa che investe l’uno e l’altro, cosa che richiederebbe un’analisi e non, come invece si fa in queste poche righe, un semplice scrutinio a fini divulgativi.

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Written by Andrea Picciuolo

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