Esercizi di analisi dei frame e audience intelligence (2). La “crisi” come fenomeno comunicativo: un caso recente
Nella corrente circolazione cross-mediale dei contenuti, per un agente economico [o politico/istituzionale] la crisi corrisponde in primo luogo all’enunciazione di una crisi. In quanto enunciazione, la crisi è sempre reale, ma non necessariamente vera. Il valore di verità dipende dalla comprensione dell’identità relazionale dell’agente, risultato immateriale, ma concreto e situato, delle “conversazioni” di cui egli è contemporaneamente, e in modo perpetuo, produttore e “bersaglio”. Ciò richiede una prassi di ascolto, e selezione, dei punti e dei momenti di contatto tra l’agente e i “pubblici”, e un’analisi formale della struttura formale da cui le espressioni e i contenuti di cui questi “contatti” dipendono.
La crisi ha natura narrativa. È una scissione, enunciata, tra un soggetto e un oggetto di valore. Dato che i due si costruiscono, come si dice in gergo, paratatticamente, solo un’analisi, diacronica e sincronica, della struttura formale che li genera può consentire di valutare il grado di “verità” della crisi.
L’analisi dei frame, appaiata all’audience intelligence, dota la ricerca sui fenomeni di comunicazione e di consumo di una caratteristica peculiare, che affianca, e completa se si vuole, gli approcci basati su criteri socio-demografici e tipologici. All’indagine dei bisogni e delle motivazioni di individui o gruppi “omogenei”, che nell’odierno flusso cross-mediale e dialettico dei contenuti rischia di vedere il medesimo ovunque o di collassare nelle specificità “tecniche” del mezzo, il metodo che utilizziamo in questi banali esercizi mira a comprendere le assiologie, etiche ed estetiche, immanenti ai comportamenti discorsivi e alle pratiche oggetto di analisi. L’orizzonte è quello ormai solido in certa letteratura: i fenomeni di comunicazione e di consumo valgono non per quello che sono ma per ciò che significano. In gioco vi è dunque il senso di discorsi e pratiche, la loro interpretazione da parte dei “pubblici”, e le personalità semiotiche [i.e. identità relazionali] che tali interazioni significanti costruiscono. Ciò che conta è dunque l’interpretazione. È l’interpretazione che orienta, e guida, l’azione. Ma come analizzare un aspetto che pare, a uno sguardo non previdente va detto, tanto vago da dare spesso la stura a indagini a dir poco impressionistiche? Indagando con metodi formali l’elemento sperimentalmente valido di tali comportamenti segnici: la loro struttura “contestuale”.
Non si tratta dunque di attribuire delle “polarità” a item di varia taglia: non è a quel livello che si comprende il portato cognitivo ed emotivo che conversato e pratiche manifestano.
Una postura che qui applichiamo alla funzione aziendale dette “crisis management”, ma che, come si può immaginare, vale per tutte le funzioni aziendali. L’intento è non farsi catturare dalla dinamica centrifuga delle conversazioni e, attraverso la comprensione di frame e valori etici ed estetici, poter valutare, in situazione, il capitale semiotico di ciascun agente e di ciascun pubblico. Tra i tanti kpi, l’analisi dei frame e la comprensione delle identità relazionali sono i cardini per sostenere tutte quelle funzioni aziendali che hanno una qualche relazione, più o meno prossima, con quegli elementi che in modo frettoloso, e poco rigoroso, si definiscono immagine e target.
In uno dei soliti esercizi, ci occupiamo qui della conversazione generata dalla messa in onda di uno spot pre-natalizio di una nota insegna della GDO.
Anche in questo caso, il terreno di indagine è costituito da alcune reti sociali. Terreno aspro per una rigorosa analisi qualitativa, in quanto lì le due modalità che si solevano tenere distinte, la dichiarativa e la passiva, collassano creando entità di tipo nuovo.
Anche l’avvertenza è la solita: si tratta di un mero carotaggio, a soli fini divulgativi [di briciole del metodo impiegato], a bassa tensione tecnica si direbbe, senza pretese di esaustività del fenomeno in oggetto. Le personalità di cui si parla sono personalità semiotiche, risultato dunque di “interazioni simboliche”.
All’affezionato lettore di queste righe, il noto agente mobile, si segnalano alcune altre note divulgative dedicate a delle crisi “sopra la linea”: D&G; Ferragni; Uliveto; Atlantia; Chicco; Moby; Buondì.
Sul canale Youtube dell’insegna è possibile visionare lo spot che ha dato la stura alla conversazione.
Al momento dell’osservazione, il video aveva raggiunto le 1.159.380 visualizzazioni, con 228 commenti. Per offrire una prospettiva comparata, si pensi che lo spot di ottobre, della saga “il buono del Paese”, risultava aver ricevuto al momento dell’osservazione 1.752.781 visualizzazioni. Lo spot di giugno, sempre della saga Il Buono del Paese, aveva avuto 1.396.145 visualizzazioni, mentre lo spot di maggio, Operazione Bis, 1.757.183.
Quel numero di commenti, pur molto esiguo, pare comunque un elemento di novità nel comportamento di quel pubblico [scorrendo in diacronia, per il 2018, il canale, non si trovano casi analoghi]. L’esplosione del conversato, e dunque il gesto di mettere in questione, è uno dei caratteri della crisi [enunciata], e lo si ritrova in tutti i punti di contatto. Quel che parrebbe un dato banalissimo, il carattere occasionale e utilitario, e non reiterato dunque, del contatto con l’agente, sarebbe in realtà una risorsa narrativa quasi mai sfruttata dalle aziende per contro-argomentare, con rare eccezioni. Certo, per potersi porre in modo sintonico o conflittuale con il pubblico sarebbe necessario ascoltarlo, conoscerlo, e comprendere i frame che ne strutturano il conversato. Tutte prassi che richiedono organizzazione e professionalità specifiche.
Torniamo ai commenti. Se si guarda al numero di like raccolto da quelli maggiormente performanti, ci si accorge che le reazioni sono marcate da un giudizio perlopiù negativo. Ma qual è l’oggetto sottoposto a giudizio? Nella maggior parte dei casi è lo spot. Ancora: un elemento a prima vista banale [ma lo è?], risulta una risorsa narrativa di non poco conto, qui solo potenziale perché non sfruttata [anzi]. Il fatto che a essere oggetto di valutazione sia lo spot, e solo in modo obliquo l’insegna, può felicemente essere inquadrato in una “sceneggiatura” che chiameremo dell’ |errore|. Se così fosse, il frame neutralizzerebbe, perché suo contrario, un frame opposto, che chiameremo del |carattere|. Offriamo una parafrasi possibile: lo spot non è la manifestazione di un carattere permanente dell’insegna, ma, al contrario, un errore, dovuto a x, y, z.
In un altro gruppo di commenti, meno numerosi tra quelli più performanti, la valutazione negativa è direttamente traslata dallo spot all’estensore, l’insegna. Qui, gli attributi che si assegnano allo spot vengono immediatamente propagati all’insegna.
Vi è infine un ultimo gruppo, funzionale, di commenti, minoritario tra quelli che generano più interazioni [già poche nel complesso]: vi è qui una difesa dello spot e la conseguente fustigazione dei “critici”. Una parafrasi possibile di questo tipo di comportamento discorsivo è: uno spot è uno spot. Dal punto di vista narrativo, è lo stesso regime di credenza che regge il discorso dei “critici” a essere messo in questione: al di là del giudizio sullo spot, si nega qui la legittimità della sua valutazione “etica” [nella sua accezione generale]. Il segnale di questo frame appare molto debole tra il pubblico, cionondimeno si tratterebbe di un’altra risorsa narrativa, disponibile in latenza, per un agente che volesse contro-argomentare dopo un ascolto e un’analisi rigorosa [che, va detto, a questo livello può lambire, a determinate condizioni, il grado del “tempo reale”].
Il corpus dei commenti è molto piccolo, e consta di 3.847 word tokens.
Osserviamo tre occorrenze: “spot” [32], primo termine non grammaticale in ordine di frequenza, “conad” [28], “pubblicità” [27].
Iniziamo da “spot”, e osserviamo per primi i collocati del termine, anche qui in ordine di frequenza. Tra i frammenti di possibili predicazioni troviamo “vergognoso”, “scandaloso”, e “piaciuto”. Compiuto l’ascolto, questi risultati paiono già degli insight, e per giunta azionabili, nel panorama corrente, ma siamo qui ancora al livello preliminare dell’analisi dei frame. Un’ulteriore passo verrebbe dato osservando, per fare un esempio tra i tanti, la distribuzione di “spot” nei cluster in cui occorre con maggiore frequenza. Lì troveremmo anche chi inneggia al “caciocavallo” in una magnificazione dei caratteri di un “sud”, ma il panorama testuale restituirebbe un frame della “critica” che appare granitico e, con un elemento di interesse che rafforza quanto detto poco sopra, una valutazione immediata dell’oggetto, lo spot, e solo obliqua, invece, dell’insegna.
Vediamo cosa ne è dell’item “pubblicità”. Uno sguardo ai collocati mostra “nero”, “piangere” e “arrabbiato” tra le parole piene più frequenti. “Arrabbiato” e “nero” verranno poi individuate come parti di un unico sintagma cristallizzato: “arrabbiato nero”, appunto. E qui la modalità già cambia, e con esso i frame che vengono convocati. Si passa dalla valutazione dello “spot”, osservata in precedenza, all’ostentazione delle reazioni, diciamo emotive, allo spot. Due mondi narrativi diversi che configurano, in latenza, due diverse identità [di “mittente” e “destinatari”]. Se si scorre la lista dei collocati si incontrano anche delle invettive piane, ma con minore frequenza. Un ultimo gruppo di commenti è marcato invece dalla “critica” diretta all’insegna, ma di tipo diverso rispetto a quella osservata in precedenza: non si traslano gli attributi (assegnati) dallo spot all’insegna, ma si punta direttamente il dito sull’insegna per la decisione di mandarlo in onda. Siamo, ai fini dell’analisi, di nuovo nella sceneggiatura dell’ |errore|, seppur manifestata da strutture testuali differenti. È un punto centrale; come si vede, a una stessa organizzazione testuale possono corrispondere frame diversi, e viceversa: dipende dalla struttura contestuale. Se non si osserva, indaga e comprende quest’ultima, il posizionamento e la comunicazione strategica si muovono, letteralmente, alla cieca.
Infine, una scorsa all’item “conad”. Già un rapidissimo sguardo ai collocati arriva a rinsaldare le osservazioni svolte sinora: in cima alla lista compaiono “pubblicità”, e “spot”. Poco oltre, troviamo, ancora tra i termini pieni, “marchio”, e “vergogna”. La presenza di “marchio” è interessante e, una volta osservata la sua distribuzione, sembra agire in seno alla struttura di un frame in cui vige il paragone tra il “sud” evocato dallo spot [o almeno quello interpretato da quel pubblico] e il “sud” rivendicato dal pubblico. Qui i margini narrativi per una contro-argomentazione appaiono da subito meno larghi. Il dato di maggiore interesse ai fini di questa breve dimostrazione è però un altro: come si diceva nella precedente nota, tra le proposte di valore del connubio di audience intelligence e analisi dei frame vi è la prospettiva analitica rigorosamente testuale. A essere presi di solito in esame sono infatti le intenzioni del mittente e dei destinatari, dimenticandosi sempre che queste intenzioni si incontrano nel testo, ed è l’intenzione del testo, la sua struttura, a dover essere dunque indagata, perché sarà su quel fondamento che, offerto all’interpretazione, si struttureranno le identità delle conversazioni e dei conversatori.
Diamo ora una scorsa sbrigativa a ciò che è accaduto, sul tema, in due altre reti sociali. Iniziamo da Facebook.
La pagina fan dell’insegna conta più di 970.000 like.
I giorni su cui poniamo attenzione sono due: 20 e 21 dicembre 2018.
Nell’immagine che segue si può apprezzare, attraverso le reazioni, il comportamento del proprietario della pagina e del pubblico nel lasso che va dal 20 novembre 2018 al 20 gennaio 2019. Come si può notare, pur marcati da un volume superiore alla media, i due giorni non rappresentano il picco del periodo in esame.
Un post del 20 dicembre, alle 11, annuncia la messa in onda dello spot. Raccoglie 308 like e genera 608 commenti [sui 667 complessivi generati dai 3 post di giornata]. Tra le reazioni, gli angry sono 117; di sicuro pochi [ma li si relazioni comunque al numero di like], eppure manifestano un comportamento raro da osservare su quella pagina nel lasso preso in esame: gli angry in reazione ai post del proprietario della pagina sono rarissimi. Altro segnale della “crisi”, anche in questo caso atteso, è l’aumento relativo dei commenti. Anche qui, l’occasionalità del fenomeno, oltre al suo carattere di dato, è una risorsa narrativa che, se compresa nei suoi tratti strutturali, può essere impiegata per attivare alcune mosse nel “dialogo”.
Il 21 dicembre, i due post pubblicati generano invece 8.417 like, 8.716 reazioni, e 143 commenti. Quello più performante è un iconotesto, con foto e didascalia che recita “Perché sono i sapori dolci che rendono i momenti difficili più sopportabili!”.
Il corpus costituito da una selezione di 200 commenti al post che annuncia la messa in onda dello spot conta 5.576 word tokens. Diamo una scorsa anche in questo caso a tre dei termini pieni che compaiono in cima alla lista delle occorrenze: “spot” [61], “conad” [59], “pubblicità” [53]. Poco oltre si incontra “sud”, mentre nel corpus-Youtube dopo i tre in oggetto compariva “madre”.
Uno sguardo ai termini collocati. Nello spazio di un contesto ristretto, “spot” co-occorre con maggiore frequenza con i termini “offensivo”, “vergognoso”, e “ridicolo”. Il panorama sembra chiaro, incardinato in un frame dove prevale l’aspetto valutativo, ma come si diceva è solo il primo passo, e di ciascun termine va indagata la distribuzione se se ne vuole comprendere la funzione. Posti gli stessi parametri di ricerca, “pubblicità” co-occorre con più frequenza con i termini “vergognosa”, “sessista”, “pessima”, “bellissima”, “veritiera”. Qui il quadro è più variegato e più varie appaiono le modalità enunciative e le personalità semiotiche coinvolte, ma, ancora, sono indizi. Per ultimo, “conad”. Se si guarda ai micro-sintagmi con cui occorre con più frequenza si nota un intreccio molto diverso da quelli manifestati dalle liste prima menzionate; compaiono, per esempio, “mondo produttivo”, e un “ridicoli e permalosi” che a un supplemento di osservazione è parso avere come referente coloro che criticavano lo spot e l’insegna.
Chiudiamo con una scorsa alle pieghe che la conversazione ha preso su Twitter.
L’archivio analizzato consta di 3.762 tweet, raccolti con l’uso della chiave “conad” nei giorni successivi al verificarsi dello pseudo-evento.
Gli utenti unici coinvolti nella conversazione sono 2.837.
Va segnalato, perché pertinente alla comprensione delle intenzioni e delle ragioni del testo, che, nel ristrettissimo ambito di questa osservazione, Twitter è parsa l’unica arena in cui dei referenti diretti dell’insegna hanno provato, in qualche modo, a entrare in dialogo sul tema con il pubblico. Questa mossa dialogica ha fatto perno su una sorta di parafrasi del “senso” dello spot, parafrasi in cui l’item “famiglia” ha giocato un ruolo non marginale. I pochi tweet di questi attori presenti nell’archivio non hanno raccolto molti favorite e retweet. E c’è da chiedersi, come sempre accade in questi casi, se, oggettivamente [al di là delle intenzioni soggettive], la strategia dispiegata [se di strategia si può parlare], si sia basata su una corretta comprensione del proprio pubblico-modello.
Il corpus dell’analisi è composto da 112.546 word tokens.
La lista dei termini mostra, tra quelli con più occorrenze [fatta salva la chiave “conad”], “spot”, “pubblicità”, “valigia”, “caciocavallo”, “lavorare”, “figlio”, “famiglia”, “madre”, “meridionali”, “sradicamento”.
Osserviamo i termini collocati. “Spot” co-occorre con maggiore frequenza con “retrogrado” e “sessista”; mentre “pubblicità” con, in ordine di occorrenze, “sessisti” e “retrogrado”. Il panorama che appare piano a un primo sguardo è di estremo interesse, già solo per il fatto che, a un supplemento di osservazione, si nota, pur in presenza dello stessa lemma, uno spostamento della valutazione dallo spot all’insegna. Di ancora maggior interesse il quadro che si offre indagando l’item “conad”. Pur nella evidente disparità di volumi, emerge qui un vero conflitto tra due frame, con una conseguente diversa qualificazione del tema che chiameremo, per comodità, |cura|. Anche qui, stesso tema, “senso” differente. E l’item famiglia ha una funzione pregnante nella struttura del frame. Se se ne osserva la distribuzione (si contano 307 occorrenze), infatti, si nota come co-occorra principalmente in due sequenze che manifestano le due qualificazioni in conflitto: “costretti a lasciare” [la famiglia] (173 occorrenze), da un lato, e “riscoperta della”[famiglia] (18 occorrenze), dall’altro. Un altro item importante per comprendere la struttura del frame, e il clima timico che genera, è “madre”. In questo caso, i volumi sono meno dispari e manifestano un conflitto di predicazioni, spesso figurativamente marcate dall’ironia [con l’item caciotte che co-occorre spesso], relative al modo di esercitare il ruolo di madre.
Insomma, come è facile desumere da questa “demo”, le potenzialità di frame analysis e audience intelligence per le ricerche sociali e di mercato sono davvero molteplici e di grande valore. Se interessasse approfondire per comprendere meglio come utilizzare queste tecniche per il vostro brand, azienda, ente, organizzazione, contattateci attraverso l’apposito modulo. Grazie.
Originally published at www.datamediahub.it on January 30, 2019.