Contemonti: la funzione del nome nella comunicazione politica

Andrea Picciuolo
5 min readSep 18, 2019

L’11 settembre scorso, così si esprimeva, o almeno così veniva compendiato, un senatore a vita, ospite in tv di un programma quotidiano di approfondimento.

Il contesto: il nome usato “per appellare in modo spregiativo il Presidente del Consiglio” è il suo, Monti. L’enunciatore, o il reo se si vuole, è il segretario della Lega. La circostanza a cui ci si riferisce, almeno per quel che qui si dirà, è la dichiarazione di voto al Senato durante il dibattito che ha preceduto il voto di fiducia. In quella occasione, per quattro volte, l’enunciatore in questione ha pronunciato, nella sua dichiarazione, la sequenza “Conte-Monti” (la si trascrive per ora in questo modo, ma si dirà qualcosa di più in merito tra qualche riga).

Non ci si vuol trattenere qui sulla questione della correttezza o del garbo di un simile accostamento, ma sul ruolo del nome in enunciazioni siffatte nella lingua della politica e nella più generale costruzione della personalità semiotica degli attori individuali e collettivi. Da questo punto di vista, tale prassi espressiva, corretta o meno, è certamente normale. Ne andrebbe perciò esaminata la struttura e ne andrebbero individuati gli effetti (di senso).

Nel caso in oggetto, la sequenza “Conte-Monti” funge da elemento linguistico cardine di un discorso figurativo che qui si dirà, in senso lato, ipotiposi. Come si sa, l’ipotiposi è un tipo di descrizione che ha lo scopo di generare nella mente del “lettore” un’“immagine viva” della “cosa” o del “fatto” descritto.

Il tipo di descrizione in cui l’elemento “Conte-Monti” gioca un ruolo fondamentale è, nello specifico, un parallelo, e ha lo scopo di “creare lo sfondo”, di determinare un’atmosfera, un frame prima di tutto emotivo che, una volta originatosi, orienti l’interpretazione dei singoli accadimenti. In assenza, perché non ancora dispiegate (allora), di “azioni” puntuali del governo su cui scagliare le proprie frecce “argomentative”, ci si adopera in anticipo per collocarlo su un orizzonte di senso già noto a un lettore-modello.

Il parallelo che si regge sull’elemento “Conte-Monti” ha una struttura peculiare, esito di un processo, multistratale, di elisione. Si provi a risalire la catena enunciativa “nascosta”, di cui “Conte-Monti” costituisce l’ultimo anello (e l’unico manifesto).

Alla base vi è una predicazione: | Monti è x/y/z |.

Vi è poi un secondo livello, nodale, in cui questa sequenza-tipo subisce una prima contrazione e, con l’inserimento dell’elemento, “Conte”, si trasforma in un’antonomasia: | Conti è un Monti |. Sì, perché enunciare semplicemente | Conte è Monti |, nell’orizzonte tattico e strategico che qui si va schizzando, risulterebbe improduttivo (cosa che, nell’immediato, è sfuggita ai commentatori che non hanno tenuto nel dovuto conto i risvolti in termini di framing di tutta l’operazione). Conte non è Monti, certo. Eppure, se si trasforma Monti in un luogo comune, in UN Monti, il parallelo diviene finalmente possibile. E la produzione discorsiva del segretario della Lega, e del suo campo, si è attrezzata negli anni per fare di Monti un luogo comune o, per dirla con un altro gergo, un esempio prototipico che fornisse al lettore una evidenza lampante di un certo genere di qualità e di prassi. L’immagine seguente (si noti anche il “Montimario”) e un’intervista reperibile qui offrono uno scorcio che risale già al 2011.

Al terzo e ultimo livello, l’unico manifesto come si diceva, l’accostamento, il parallelo, si compie dunque felicemente: “Conte-Monti”.

Felicemente? Dipende. Come si dice qui, infatti, “riferirsi a qualcuno (ma anche a un luogo, a un’opera dell’ingegno, a un evento e così via) con un nome proprio o (che è lo stesso) con un’antonomasia classica dà luogo a una comunicazione felice solo se il riferimento è noto anche a chi l’ascolta o lo legge. Diversamente, le due espressioni dicono poco.” Chi è dunque il lettore-modello di una simile operazione? È lo stesso enunciatore a convocarlo, in modo appena appena oblioquo, durante il suo intervento, in cui più volte interpella i suoi ex alleati, che hanno ottenuto, dice, “la fiducia di Monti”. È dunque un lettore che si presume condividere lo stesso orizzonte di senso, un lettore per il quale l’“oggetto mentale” Monti è un luogo comune. D’altronde, costa poco sforzo di memoria, o di ricerca, rinvenire dichiarazioni di esponenti di spicco del M5S in cui l’ex presidente del Consiglio è elevato, ancora, a esempio prototipico di certe politiche.

Un’ultima annotazione. Come si diceva in apertura, la trascrizione Conte-Monti è arbitraria, la performance del segretario della Lega a cui qui si fa riferimento essendo orale. Ve ne sono altre legittime, e tutte adeguate, se “attualizzate” nella “mente” del lettore, a servire gli scopi di cui si diceva in termini di framing e di costruzione di personalità semiotiche di un certo tipo.

La coppia “Conte-Monti” non è una coppia minima dal punto di vista fonologico, differisce infatti per due elementi e non per uno (è dunque una coppia semiminima). È però un accostamento fonico che rafforza comunque il parallelo figurativo, in quanto i due elementi condividono, per dirla all’ingrosso, il nucleo, l’accento sulla sillaba tonica, la posizione anteriore della vocale finale.

Sono legittime, si diceva, anche altre trascrizioni. Per esempio, “Contemonti”, che si è deciso di adottare per il titolo di questa nota, che ha alcune qualità foniche felici nella prospettiva che si va descrivendo, in quanto grazie all’andamento della curva melodica consente al contempo di far percepire ancora come distinti i due elementi ma di crearne uno nuovo, indiviso; un personaggio “bifido”, portato di un innesto, utile al processo di “deformazione” della percezione del bersaglio (Conte).

Oppure, per ultimo, se si tiene conto anche del “presidente” con cui il segretario della Lega si rivolge all’interlocutore, è legittimo, con un po’ di fantasia forse, anche “presidente conte Monti”. Se dal punto di vista fonico è una sorta di paragramma, che ancora una volta rafforza la costruzione parallelistica, da quello narrativo si tratta ancora di una trasfigurazione del bersaglio, che assume però dei tratti di regolarità nel contesto della prassi enunciativa dell’ex ministro, perché sussunta nella narrazione vitalistica che la caratterizza, soprattutto nelle ultime settimane. Dal punto di vista timico, per opposizione, gli avversari (e Conte che ne incarna in questo momento il prototipo) sono collocati in un frame dell’asfissia a cui sono subordinate molte (ma facilmente rinvenibili) sceneggiature. Quella del privilegio è tra queste, e la sequenza “presidente conte Monti” ne fa parte (assieme all’elemento “poltrona”, per esempio, e a qualche altro di cui si dirà forse in un’altra occasione): più volte, durante la dichiarazione, l’enunciatore fa riferimento, con ironia, allo “stile” del Presidente.

Si nota anche, da parte dell’ex ministro, il tentativo di riattivare, nei rituali di degradazione degli avversari, il frame dell’incompetenza, e la sceneggiatura a essa solidale che si regge(va) sulla sequenza-cardine “dilettanti nella vita”, che avevano svolto un ruolo fondamentale nell’ultima campagna elettorale di una parte del centro-destra.

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Written by Andrea Picciuolo

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